“Ci dicono: prima di redistribuire, occorre produrre la ricchezza. Loro! Che hanno ingrassato le multinazionali e un pugno di ricchi nel mondo!”, “Concittadini, vogliamo cambiare radicalmente la società: non siamo disposti a ricominciare a produrre non importa cosa, non importa come…”, “Noi crediamo alle rivoluzioni dove si vota, come in Venezuela, come in Bolivia”, “La nostra filosofia è quella dei lumi, della repubblica, della sinistra; con un obiettivo concreto: unire la sinistra per battere il neoliberismo”, “E al Partito socialista dico: non agitate il voto utile. L’unico voto utile è quello che porterà nel Parlamento europeo deputati nettamente contrari al Trattato di Lisbona”.
Sono queste alcune delle battute con cui Jean-Luc Mélenchon (nella foto) ha concluso il congresso del suo partito: lo ha fatto con una dialettica scaltra e vivace, che coniuga il furore iconoclasta con richiami illuministici e repubblicani (di quelli che scaldano i cuori del patriottismo francese); e che, al contempo, colloca questo transfuga del Ps nel campo della sinistra anticapitalista.
In una struttura periferica situata a sud di Parigi, da venerdì a domenica scorsi, il Parti de Gauche (PdG) ha celebrato il suo “congresso costituente”: una forza politica che, appena nata, conta sul contributo di 4mila militanti (ma il trend è in ascesa) e che, essendosi staccata solo un paio di mesi fa dal Partito socialista, ha trovato un suo spazio nella gauche anticapitalistica francese. Nell’ampia sala congressuale, il clima è quello dei grandi momenti. Ma, in generale, è la situazione politica transalpina che mostra chiari segnali di risveglio e offre alle forze della sinistra consistenti opportunità. La Francia ha appena visto mobilitarsi due milioni e mezzo di persone, chiamate allo sciopero generale da tutti i principali sindacati, di nuovo uniti, contro i tagli di Sarkozy e la sua gestione della crisi: come è stato rilevato anche sulla nostra stampa, erano presenti nelle piazze tutti i settori della società. Non a caso, la relazione introduttiva del congresso ha reso omaggio a questa formidabile giornata di sciopero, ringraziando esplicitamente le forze sindacali per la loro determinazione e la loro inequivoca volontà di lotta. Per comprendere quanto il quadro politico francese sia oggi spostato a sinistra rispetto al nostro, è sufficiente considerare la presenza nel corteo parigino della stessa segretaria del Ps, Martine Aubry. Da noi, al contrario, un pezzo di sindacato firma accordi separati con padroni e governo; e il segretario del maggior partito di centro-sinistra tace davanti ad un’operazione regressiva che tenta di isolare e mortificare il più grande sindacato italiano.
Ma è il tema dell’Europa a marcare la più visibile distanza. Mentre in Italia, al livello dell’opinione diffusa, tale questione è sostanzialmente evanescente, in Francia essa coincide con il nervo scoperto di un referendum tradito. In Francia si è votato; e si è votato “No” al Trattato europeo. Ciò ha consentito alle forze della sinistra di radicare questa tematica nel vivo del dibattito politico. Ed oggi la consapevolezza maturata in quella battaglia referendaria è pienamente disponibile, per dare nerbo all’imminente contesa elettorale (“L’80% delle leggi francesi sono trascrizioni di direttive europee!”). Così - accanto alla proposta politica di un Fronte delle sinistre per la prossima scadenza elettorale continentale - sul piano analitico-programmatico, la crisi del capitalismo e l’Europa hanno del tutto naturalmente costituito l’asse centrale della discussione e dei documenti congressuali; e l’intransigente rifiuto del Trattato di Lisbona (“copia conforme del Trattato costituzionale rigettato nel 2005”) ha orientato l’intero dibattito. Di qui passa eminentemente la stessa critica al Partito socialista, “complice” nell’approvazione del suddetto Trattato-fotocopia. Come detto, la radicale critica a questa Europa, “costruzione liberista e autoritaria”, si è intrecciata con quella del vigente sistema capitalistico e con la necessità storica di un suo superamento: necessità resa ancor più inderogabile dalle drammatiche urgenze (sociali, democratiche, ambientali) indotte dal precipitare della crisi. Su questo, la posizione del PdG è parsa molto netta: “Non si esce dalla crisi rilanciando il capitalismo, ridando fiato ai meccanismi che hanno condotto al disastro sociale e ad una spaventosa crisi ambientale”. Occorre proporre un’alternativa al capitalismo, un altro orizzonte, “precisando le transizioni che vi conducono”. Non sarà una passeggiata: “La sinistra non convincerà il capitale finanziario a rendere quel che ha estorto attraverso un’amabile discussione tra gente di buona compagnia”. Ma deve essere la sovranità popolare a determinare la realizzazione di ciò che corrisponde all’ “interesse generale”: precisamente come sta accadendo in America Latina, in Venezuela, in Bolivia.
Sulla base di tali orientamenti generali, i documenti presentati alla discussione hanno articolato il programma del partito (da proporre successivamente ad un’eventuale coalizione elettorale). Innanzitutto, sul versante interno, quello delle concrete risposte alla crisi sociale. La ricchezza c’è: tant’è che le imprese francesi, nel 2007, hanno incamerato 650 miliardi di utili. Contrariamente a quello che fa il Ps, occorre intervenire con decisione e presto sugli squilibri di classe, proponendo misure strutturali a livello nazionale ed europeo. Anche sul versante esterno, il PdG non sembra fare sconti: neanche ad Obama. Gli Stati Uniti - ha infatti osservato la responsabile del dipartimento sui problemi internazionali - si sono resi responsabili dell’azzeramento del diritto internazionale; e le teorie dello Scontro di civiltà e della Guerra al terrorismo hanno di fatto “fornito un nuovo abito” all’imperialismo. Pur essendo diverso da Bush, Obama non smentisce tali pseudo-teorie: e rafforza le truppe in Afghanistan.
Al grido di “Unità, unità!”, il congresso ha approvato l’appello per un Fronte della sinistra alle prossime europee. Il Pc francese ha già accolto l’invito: e l’ovazione tributata dai delegati alla segretaria comunista Marie-George Buffet ha simbolicamente sigillato l’intesa. La decisione tocca ora al sin qui riluttante Olivier Besancenot, leader del Nuovo Partito Anticapitalista (Npa), che ha raccolto e rinnovato l’eredità della Ligue Comuniste Révolutionnaire, il quale celebrerà il suo congresso nel prossimo week-end. A Besancenot si è direttamente rivolto Mélanchon: “Non ti chiediamo di sciogliere il tuo Npa. Tu dici che ci sono cose che vi distinguono da noi. Confermo: anche noi su alcune cose divergiamo da voi. Ma, appunto, non vogliamo una fusione, bensì un’unione tra forze distinte”. Niente oltrismi, dunque; niente superamenti. E niente scissioni. Così si prova a costruire l’unità. E la si costruisce su punti ben determinati. Mélanchon ne indica due, in particolare: rifiuto netto del Trattato di Lisbona e gruppo parlamentare collocato a sinistra del Ps europeo. Unità nel rispetto delle identità e nella chiarezza dei contenuti: questa è la strada maestra che prova a percorrere la sinistra francese. E un sondaggio dà l’eventuale ressemblement al 14,5%...
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