«Dal ministro frasi pericolose. La protesta è sacrosanta», intervista ad Achille Serra (da "l'Unità" del 20 marzo 2009)
«Sono affermazioni sconcertanti. Aizzare in questo modo gli animi degli studenti è molto pericoloso». Achille Serra scuote la testa quando gli vengono riferite le parole di Renato Brunetta, quel «guerriglieri» che il ministro della Pubblica amministrazione ha scagliato contro i ragazzi dell’Onda. Il senatore del Pd tira fuori un libro che ha pubblicato tre anni fa, quando era prefetto di Roma: “Poliziotto senza pistola”. È come lo avevano ribattezzato i cronisti di Milano, per via della sua propensione per la mediazione. Serra legge la parte dedicata al ‘68, quando da vicecommissario si misurò con la contestazione studentesca. «È colpa dello Stato se in quegli anni difficili si creò un antagonismo forte tra il movimento studentesco e le forze dell’ordine. È colpa dello Stato, che non ha saputo trovare la via del dialogo».
Vede il rischio di un ripetersi della situazione?
«Non si può dire agli studenti che sono dei guerriglieri o, ancora più sconcertante, che non hanno neanche la dignità dei guerriglieri, che sono una cosa seria».
Perché secondo lei il ministro ha fatto simili affermazioni?
«Non saprei, però evidentemente non si è reso conto di che cosa significhi una provocazione dell’ordine pubblico. Aizzare così gli animi degli studenti mi sembra, oltre che superficiale, molto pericoloso».
Condivide l’appello a moderare i termini lanciato ai politici dall’Associazione nazionale funzionari di polizia?
«Pienamente. I funzionari di polizia stanno sulla strada, sanno che con le provocazioni il pericolo di avere delle reazioni scomposte è reale. Lo abbiamo visto nel ‘68, quando lo Stato non seppe trovare la via del dialogo. Che va cercato a tutti i costi e in qualunque modo».
Cosa succedeva allora e che cosa si rischia di far succedere oggi?
«Gli studenti non si rendevano conto che noi poliziotti eravamo dei giovani come loro, e che lanciare una bottiglia molotov a noi non significava tirarla allo Stato. Se si aizzano gli animi a rimetterci sempre sono purtroppo le forze dell’ordine, che si trovano in piazza a dover contrastare la rabbia di questi giovani che si sentono chiamare guerriglieri, e gli studenti stessi».
Il ministro però, pur dopo molte sollecitazioni, non ha fatto dietrofront.
«Io mi auguro che lo faccia, perché per un governo è doveroso ricercare il confronto con i giovani, fino all’esasperazione. In questo caso non c’è stato neanche il minimo tentativo di ricercare un dialogo».
Questo vuol dire che sposa la causa dei contestatori?
«No, non significa questo. Però da tecnico dell’ordine pubblico, più che da politico, non posso non sottolineare il pericolo di certe affermazioni e le conseguenze che possono provocare. Conseguenze che non si vanno poi, se non indirettamente, a riversare sul governo e su chi pronuncia certe parole, ma, ripeto, sulle forze dell’ordine».
Secondo lei la gravità delle affermazioni richiedere un intervento del premier?
«Non credo che Brunetta abbia bisogno di tutele. Il ministro in altre circostanze ha dimostrato di essere molto più prudente, riveda la sua posizione e non definisca più né sbandati né guerriglieri studenti che reclamano una loro autonomia e un loro diritto allo studio. La protesta di questi ragazzi è sacrosanta».
Vede il rischio di un ripetersi della situazione?
«Non si può dire agli studenti che sono dei guerriglieri o, ancora più sconcertante, che non hanno neanche la dignità dei guerriglieri, che sono una cosa seria».
Perché secondo lei il ministro ha fatto simili affermazioni?
«Non saprei, però evidentemente non si è reso conto di che cosa significhi una provocazione dell’ordine pubblico. Aizzare così gli animi degli studenti mi sembra, oltre che superficiale, molto pericoloso».
Condivide l’appello a moderare i termini lanciato ai politici dall’Associazione nazionale funzionari di polizia?
«Pienamente. I funzionari di polizia stanno sulla strada, sanno che con le provocazioni il pericolo di avere delle reazioni scomposte è reale. Lo abbiamo visto nel ‘68, quando lo Stato non seppe trovare la via del dialogo. Che va cercato a tutti i costi e in qualunque modo».
Cosa succedeva allora e che cosa si rischia di far succedere oggi?
«Gli studenti non si rendevano conto che noi poliziotti eravamo dei giovani come loro, e che lanciare una bottiglia molotov a noi non significava tirarla allo Stato. Se si aizzano gli animi a rimetterci sempre sono purtroppo le forze dell’ordine, che si trovano in piazza a dover contrastare la rabbia di questi giovani che si sentono chiamare guerriglieri, e gli studenti stessi».
Il ministro però, pur dopo molte sollecitazioni, non ha fatto dietrofront.
«Io mi auguro che lo faccia, perché per un governo è doveroso ricercare il confronto con i giovani, fino all’esasperazione. In questo caso non c’è stato neanche il minimo tentativo di ricercare un dialogo».
Questo vuol dire che sposa la causa dei contestatori?
«No, non significa questo. Però da tecnico dell’ordine pubblico, più che da politico, non posso non sottolineare il pericolo di certe affermazioni e le conseguenze che possono provocare. Conseguenze che non si vanno poi, se non indirettamente, a riversare sul governo e su chi pronuncia certe parole, ma, ripeto, sulle forze dell’ordine».
Secondo lei la gravità delle affermazioni richiedere un intervento del premier?
«Non credo che Brunetta abbia bisogno di tutele. Il ministro in altre circostanze ha dimostrato di essere molto più prudente, riveda la sua posizione e non definisca più né sbandati né guerriglieri studenti che reclamano una loro autonomia e un loro diritto allo studio. La protesta di questi ragazzi è sacrosanta».
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