Alle 10 di oggi c'è stata un'assemblea con i sindacati davanti alla fabbrica. De Filippo: «risultati insoddisfacenti»
[articolo tratto da "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 24/09/2009]
Due giorni fa l'incontro romano, che ha portato soltanto ombre e delusione. Oggi, alle 10, l'assemblea con i sindacati davanti alla fabbrica. Ieri, il comprensibile rammarico per i lavoratori della Lasme. «Sono delusa al 100 per cento», dice Adele Maiorella, di Venosa. «La proposta dell'azienda, di salvare solo 35 di noi è improponibile. Quella del Ministero? Non ci credo e non mi fido. E' solo fumo negli occhi». «Non credo proprio - interviene Luca Vicino, di Lavello - che esista un imprenditore disposto a rilevare il capannone e a investire in questa zona. L'incontro di Roma, come immaginavamo, è stata l'ennesima presa in giro».
«Già sapevamo - rincara la dose Antonietta D'Amato, operaia di Ginestra - che sarebbe finita così. Tra di noi c'è solo delusione. Domani (oggi, ndr.) in base a quello che ci riferiranno i nostri rappresentanti sindacali in assemblea decideremo il da farsi». «Sospettavamo che sarebbe andata a finire così. La vendita del capannone, il modulo porta? E' solo una presa in giro», sbotta Mauro Santosuosso di Lavello. «Anche se si mantenessero 35 lavoratori - spiega - la fabbrica sarebbe destinata a chiudere, perché sarebbe una soluzione temproanea. A questo punto chiediamo alle autorità regionali di intervenire: ci trovino un modo per continuare a lavorare, anche altrove, perché siamo finiti in mezzo a una strada».
«L'azienda - sottolinea Vito Buglione, operaio lavellese - nel piano che ha presentato vorrebbe mettere da parte le produzioni per la Sata di Melfi, il vero motivo per cui si era insediata in questo comprensorio. E questo è incomprensibile, anche perché gli alzacristalli elettrici continua a produrli a Chiavari». Per il melfitano Mauro Caputo «il piano presentato dall'azienda non è assolutamente chiaro. E poi, non credo esista qualcuno disposto a rilevare il capannone».
Intanto, per il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo «l'ultimo incontro si è concluso con risultati ancora insoddisfacenti. Si tratta ora - spiega - di proseguire con determinazione su altre questioni: innanzitutto richiamare Fiat al più alto livello istituzionale; poi convincere l’azienda ad aumentare il più possibile l’attività produttiva nel territorio lucano collegandola alla Sata; e infine, mettere in campo le procedure per reindustrializzare la restante parte del sito utilizzando le disponibilità finanziarie e gli strumenti regionali, ma anche quelli che il Ministero dello Sviluppo Economico doverosamente dovrebbe mettere a disposizione».
[articolo tratto da "La Gazzetta del Mezzogiorno" del 24/09/2009]
Due giorni fa l'incontro romano, che ha portato soltanto ombre e delusione. Oggi, alle 10, l'assemblea con i sindacati davanti alla fabbrica. Ieri, il comprensibile rammarico per i lavoratori della Lasme. «Sono delusa al 100 per cento», dice Adele Maiorella, di Venosa. «La proposta dell'azienda, di salvare solo 35 di noi è improponibile. Quella del Ministero? Non ci credo e non mi fido. E' solo fumo negli occhi». «Non credo proprio - interviene Luca Vicino, di Lavello - che esista un imprenditore disposto a rilevare il capannone e a investire in questa zona. L'incontro di Roma, come immaginavamo, è stata l'ennesima presa in giro».
«Già sapevamo - rincara la dose Antonietta D'Amato, operaia di Ginestra - che sarebbe finita così. Tra di noi c'è solo delusione. Domani (oggi, ndr.) in base a quello che ci riferiranno i nostri rappresentanti sindacali in assemblea decideremo il da farsi». «Sospettavamo che sarebbe andata a finire così. La vendita del capannone, il modulo porta? E' solo una presa in giro», sbotta Mauro Santosuosso di Lavello. «Anche se si mantenessero 35 lavoratori - spiega - la fabbrica sarebbe destinata a chiudere, perché sarebbe una soluzione temproanea. A questo punto chiediamo alle autorità regionali di intervenire: ci trovino un modo per continuare a lavorare, anche altrove, perché siamo finiti in mezzo a una strada».
«L'azienda - sottolinea Vito Buglione, operaio lavellese - nel piano che ha presentato vorrebbe mettere da parte le produzioni per la Sata di Melfi, il vero motivo per cui si era insediata in questo comprensorio. E questo è incomprensibile, anche perché gli alzacristalli elettrici continua a produrli a Chiavari». Per il melfitano Mauro Caputo «il piano presentato dall'azienda non è assolutamente chiaro. E poi, non credo esista qualcuno disposto a rilevare il capannone».
Intanto, per il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo «l'ultimo incontro si è concluso con risultati ancora insoddisfacenti. Si tratta ora - spiega - di proseguire con determinazione su altre questioni: innanzitutto richiamare Fiat al più alto livello istituzionale; poi convincere l’azienda ad aumentare il più possibile l’attività produttiva nel territorio lucano collegandola alla Sata; e infine, mettere in campo le procedure per reindustrializzare la restante parte del sito utilizzando le disponibilità finanziarie e gli strumenti regionali, ma anche quelli che il Ministero dello Sviluppo Economico doverosamente dovrebbe mettere a disposizione».
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