POTENZA - Erano stati sospesi l'8 luglio e poi licenziati dalla Fiat il 13 e il 14 dello stesso mese 1, ma ora un giudice del lavoro ha deciso che possono tornare a lavoro. I tre operai dello stabilimento Fiat di Melfi, in provincia di Potenza, (due dei quali delegati della Fiom), hanno quindi vinto la loro battaglia. Il giudice ha annullato il provvedimento, ritenendolo "antisindacale", e ha ordinato l'immediato reintegro dei tre nelle rispettive mansioni professionali.
Secondo il segretario regionale Fiom della Basilicata, Emanuele De Nicola, "la sentenza indica che ci fu da parte della Fiat la volontà di reprimere le lotte a Pomigliano d'Arco e a Melfi e di 'dare una lezione' alla Fiom". No comment dal Lingotto, che ha fatto sapere soltanto di attendere la notifica del provvedimento.
Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino (entrambi delegati della Fiom) e Marco Pignatelli furono licenziati perché durante un corteo interno bloccarono un carrello robotizzato che portava materiale a operai che invece lavoravano regolarmente. Ai licenziamenti seguirono scioperi, proteste e una manifestazione della Fiom: i tre operai occuparono per alcuni giorni il tetto della Porta Venosina, un antico monumento situato nel centro storico di Melfi.
"La sentenza - dice De Nicola - dimostra che le lotte democratiche dei lavoratori non hanno nulla in comune con il sabotaggio. Il teorema 'lotte uguale eversione o sabotaggio' è stato di nuovo smontato e ci aspettiamo le scuse di quanti vi hanno fatto riferimento, a cominciare da personalità istituzionali o rappresentanti degli imprenditori". "Speriamo - conclude il dirigente lucano della Fiom - che la Fiat torni al tavolo per discutere dei temi che stanno a cuore ai lavoratori, a cominciare dai diritti e dai carichi di lavoro".
Per Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom Cgil, "la sentenza è la dimostrazione che la Fiat sta agendo in violazione delle leggi e dei contratti". "A questo punto è chiaro che la linea della Fiat in Italia deve cambiare - prosegue Cremaschi - visto che, per fortuna, l'ordinamento costituzionale italiano è ancora in vigore. A tutti coloro che hanno supinamente sposato le posizioni dell'azienda è rivolto l'invito a cambiare posizione". In particolare, secondo il sindacalista, "sarebbe un fatto di buon gusto se il ministro Sacconi, la presidente della Confindustria Marcegaglia e il segretario della Cisl Bonanni chiedessero scusa per le loro dichiarazioni ai lavoratori licenziati che oggi vengono reintegrati".
"Soddisfazione" per la sentenza è stata espressa anche dall'Ugl: "Sempre abbiamo sostenuto che il licenziamento non doveva essere motivo per determinare una tensione sociale di cui oggi non si sente il bisogno, in una fase difficilissima di crisi industriale in cui proprio i lavoratori e le lavoratrici siamo i primi a pagarne le conseguenze".
Secondo il segretario regionale Fiom della Basilicata, Emanuele De Nicola, "la sentenza indica che ci fu da parte della Fiat la volontà di reprimere le lotte a Pomigliano d'Arco e a Melfi e di 'dare una lezione' alla Fiom". No comment dal Lingotto, che ha fatto sapere soltanto di attendere la notifica del provvedimento.
Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino (entrambi delegati della Fiom) e Marco Pignatelli furono licenziati perché durante un corteo interno bloccarono un carrello robotizzato che portava materiale a operai che invece lavoravano regolarmente. Ai licenziamenti seguirono scioperi, proteste e una manifestazione della Fiom: i tre operai occuparono per alcuni giorni il tetto della Porta Venosina, un antico monumento situato nel centro storico di Melfi.
"La sentenza - dice De Nicola - dimostra che le lotte democratiche dei lavoratori non hanno nulla in comune con il sabotaggio. Il teorema 'lotte uguale eversione o sabotaggio' è stato di nuovo smontato e ci aspettiamo le scuse di quanti vi hanno fatto riferimento, a cominciare da personalità istituzionali o rappresentanti degli imprenditori". "Speriamo - conclude il dirigente lucano della Fiom - che la Fiat torni al tavolo per discutere dei temi che stanno a cuore ai lavoratori, a cominciare dai diritti e dai carichi di lavoro".
Per Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom Cgil, "la sentenza è la dimostrazione che la Fiat sta agendo in violazione delle leggi e dei contratti". "A questo punto è chiaro che la linea della Fiat in Italia deve cambiare - prosegue Cremaschi - visto che, per fortuna, l'ordinamento costituzionale italiano è ancora in vigore. A tutti coloro che hanno supinamente sposato le posizioni dell'azienda è rivolto l'invito a cambiare posizione". In particolare, secondo il sindacalista, "sarebbe un fatto di buon gusto se il ministro Sacconi, la presidente della Confindustria Marcegaglia e il segretario della Cisl Bonanni chiedessero scusa per le loro dichiarazioni ai lavoratori licenziati che oggi vengono reintegrati".
"Soddisfazione" per la sentenza è stata espressa anche dall'Ugl: "Sempre abbiamo sostenuto che il licenziamento non doveva essere motivo per determinare una tensione sociale di cui oggi non si sente il bisogno, in una fase difficilissima di crisi industriale in cui proprio i lavoratori e le lavoratrici siamo i primi a pagarne le conseguenze".
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