Viva Nichi Vendola! Questa è la mia risposta - la prima, la più immediata ma anche quella più meditata - alle vicende pugliesi. Non è solo la solidarietà che è giusto e doveroso esprimere a un amico, a un compagno di lunghissimo corso, con il quale si sono condivisi una stagione, molte sconfitte, qualche successo. E’ anche e soprattutto un’idea della politica. Non malgrado, ma proprio in virtù del legame che ci unisce, sento la necessità di rivendicare, prima di ogni altra cosa, una presunzione di verità politica che è interamente dalla sua parte. Tanto più in una fase come questa, nella quale, anche nella sinistra in disfacimento, scatta invece la mera logica del “contro”, quasi oramai come un vestito che ci si è cuciti addosso. Da parte mia, appunto, avverto come prioritaria l’idea di appartenenza pubblica. Nichi e io abbiamo fatto parte, facciamo tutt’ora parte, della stessa comunità politica scelta - una nozione che va ben oltre quella di partito e che ci richiama a quella diversità che è forse la ragione qualificante della nostra intrapresa.
Siamo diversi non perché migliori o antropologicamente surdeterminati, ma perché ci muove l’ambizione di cambiare il mondo. Siamo diversi non in quanto singole persone o ceto politico, ma perché rispondiamo a quella comunità, a quella storia collettiva, a quelle speranze di cambiamento - e l’azione della politica è solo l’ancella, per quanto privilegiata - di questa prospettiva.
Questo è l’essenziale nella storia di Nichi Vendola, da giovane comunista a governatore della Puglia, da brillante intellettuale a leader politico nazionale.
Questo è ciò che vale e che va rivendicato. Ma allo stesso tempo non è forse questo anche il metro garantista che ci dovrebbe guidare sempre, tutte le volte cioè che il potere giudiziario coinvolge l’autorità politica? Per noi l’autonomia della magistratura è un fondamento, quasi sacro, della civiltà moderna.
E anche in questa circostanza non possiamo che ribadire l’auspicio di sempre che “la giustizia faccia il suo corso”. Solo che, nell’inchiesta pugliese, si sta verificando un paradosso pressoché clamoroso: il garantismo, che serve a tutelare chi è sottoposto a un’indagine che sfonda sulla presunzione di innocenza di chi è accusato, e gli fornisce gli strumenti necessari di difesa, almeno fino a quando non sia emesso un verdetto, da strumento nobile si va rovesciando nel suo contrario.
Nichi Vendola non è accusato di alcun reato, ne è soggetto ad un inchiesta specifica che lo riguardi: perciò nel nome di regole garantiste formalmente proclamate, nei suoi confronti viene brandita una vera e propria fiera del sospetto.
Scatta un’impressionante meccanismo mediatico accusatorio e scatta la sovrapposizione costante della figura di Nichi Vendola a la nozione di reati, ruberie, corruzione. E si leva un coro di condanna preventiva.
Perché? In verità, la natura di questa offensiva è sotto gli occhi di tutti, quotidianamente, ed è molto chiaro l’obiettivo che si propone: la demolizione di una personalità e di un’esperienza politica.
Non è una persecuzione dettata da chissà quale malevolenza. Non è un complotto classico. E’ una risposta della politica conservatrice. Giacché Nichi Vendola è la Puglia - la Puglia che vuole cambiare, la Puglia che fa eccezione alle sconfitte che colpiscono nel resto d’Italia la sinistra e il centro sinistra.
Nichi ha reso possibile ciò che sembrava impossibile: prima, trasformare le primarie in un vero e proprio “patto col popolo”, che assomiglia alle più avanzate esperienze dell’America latina assai di più che non all’esangue e spettacolare ritualità della Sinistra Europea; poi, proseguire in un’azione di governo innovativa, che ha scosso molti interessi forti della società pugliese e costruito una mobilitazione della società civile che incarna le istanze gramsciane.
Lo ha fatto, come dicevamo, in controtendenza mentre la sinistra offriva di sé le note cattive prove - e non ha lavorato soltanto sul terreno del riscatto del sud, ma si è mosso nella direzione di un nuovo meridionalismo in stretta connessione con il Mediterraneo.
Ora, neppure sugli anni di governatorato di Nichi Vendola fin qui realizzati, rinunciamo alle virtù della critica e dell’autocritica. L’eccezione pugliese ha avuto, continua ad avere, i suoi limiti. Eppure resta un’ eccezione del tutto singolare nel panorama italiano.
Questo, ancora, è l’essenziale. Questo dovrebbe essere il criterio che guida tutta la sinistra, di qualunque orientamento.
Invece la sinistra appare del tutto inadeguata: non difende Vendola, oscilla tra l’invettiva giustizialista e mille giochi tattici di corto, cortissimo respiro. E’ un segno inequivocabile della sua crisi strategica ma anche della sua incapacità di fronteggiare davvero l’offensiva degli avversari. Accade così che, dall’antica alterigia e presunzione di immunità rivendicata per tutti i suoi membri, si è passati alla propensione diametralmente opposta: non tutti eguali davanti alla legge, come è giusto che sia, ma tutti eguali!
Accade così che si getta via il bambino (le ragioni politiche ideali della diversità) insieme all’acqua sporca (la presunzione) e si offrono nuovi varchi alla deriva populista. Accade, ancora, che si è diventati incapaci di capire quali sono gli interessi materiali concreti colpiti, la loro reazione,la necessità di fronteggiarla - e con quali strumenti.
Anche qui con un rovesciamento culturale che ha dell’incredibile: dall’antica fissa giacobina del “complotto reazionario” che si vedeva sempre dietro l’angolo, si è passati alla cancellazione totale di ogni analisi delle forze in campo.
Come se la politica fosse di colpo diventata neutrale. Ma che in Puglia gli interessi colpiti si stiano mobilitando per mettere fine alla anomalia che Nichi Vendola rappresenta, e per riportare la regione all’ordinaria condizione del quadro italiano, a me pare evidente. Palmare.
Dunque, lo ripetiamo: la giustizia faccia il suo corso. Ma contemporaneamente la politica faccia la sua parte. Prenda parte.
Siamo diversi non perché migliori o antropologicamente surdeterminati, ma perché ci muove l’ambizione di cambiare il mondo. Siamo diversi non in quanto singole persone o ceto politico, ma perché rispondiamo a quella comunità, a quella storia collettiva, a quelle speranze di cambiamento - e l’azione della politica è solo l’ancella, per quanto privilegiata - di questa prospettiva.
Questo è l’essenziale nella storia di Nichi Vendola, da giovane comunista a governatore della Puglia, da brillante intellettuale a leader politico nazionale.
Questo è ciò che vale e che va rivendicato. Ma allo stesso tempo non è forse questo anche il metro garantista che ci dovrebbe guidare sempre, tutte le volte cioè che il potere giudiziario coinvolge l’autorità politica? Per noi l’autonomia della magistratura è un fondamento, quasi sacro, della civiltà moderna.
E anche in questa circostanza non possiamo che ribadire l’auspicio di sempre che “la giustizia faccia il suo corso”. Solo che, nell’inchiesta pugliese, si sta verificando un paradosso pressoché clamoroso: il garantismo, che serve a tutelare chi è sottoposto a un’indagine che sfonda sulla presunzione di innocenza di chi è accusato, e gli fornisce gli strumenti necessari di difesa, almeno fino a quando non sia emesso un verdetto, da strumento nobile si va rovesciando nel suo contrario.
Nichi Vendola non è accusato di alcun reato, ne è soggetto ad un inchiesta specifica che lo riguardi: perciò nel nome di regole garantiste formalmente proclamate, nei suoi confronti viene brandita una vera e propria fiera del sospetto.
Scatta un’impressionante meccanismo mediatico accusatorio e scatta la sovrapposizione costante della figura di Nichi Vendola a la nozione di reati, ruberie, corruzione. E si leva un coro di condanna preventiva.
Perché? In verità, la natura di questa offensiva è sotto gli occhi di tutti, quotidianamente, ed è molto chiaro l’obiettivo che si propone: la demolizione di una personalità e di un’esperienza politica.
Non è una persecuzione dettata da chissà quale malevolenza. Non è un complotto classico. E’ una risposta della politica conservatrice. Giacché Nichi Vendola è la Puglia - la Puglia che vuole cambiare, la Puglia che fa eccezione alle sconfitte che colpiscono nel resto d’Italia la sinistra e il centro sinistra.
Nichi ha reso possibile ciò che sembrava impossibile: prima, trasformare le primarie in un vero e proprio “patto col popolo”, che assomiglia alle più avanzate esperienze dell’America latina assai di più che non all’esangue e spettacolare ritualità della Sinistra Europea; poi, proseguire in un’azione di governo innovativa, che ha scosso molti interessi forti della società pugliese e costruito una mobilitazione della società civile che incarna le istanze gramsciane.
Lo ha fatto, come dicevamo, in controtendenza mentre la sinistra offriva di sé le note cattive prove - e non ha lavorato soltanto sul terreno del riscatto del sud, ma si è mosso nella direzione di un nuovo meridionalismo in stretta connessione con il Mediterraneo.
Ora, neppure sugli anni di governatorato di Nichi Vendola fin qui realizzati, rinunciamo alle virtù della critica e dell’autocritica. L’eccezione pugliese ha avuto, continua ad avere, i suoi limiti. Eppure resta un’ eccezione del tutto singolare nel panorama italiano.
Questo, ancora, è l’essenziale. Questo dovrebbe essere il criterio che guida tutta la sinistra, di qualunque orientamento.
Invece la sinistra appare del tutto inadeguata: non difende Vendola, oscilla tra l’invettiva giustizialista e mille giochi tattici di corto, cortissimo respiro. E’ un segno inequivocabile della sua crisi strategica ma anche della sua incapacità di fronteggiare davvero l’offensiva degli avversari. Accade così che, dall’antica alterigia e presunzione di immunità rivendicata per tutti i suoi membri, si è passati alla propensione diametralmente opposta: non tutti eguali davanti alla legge, come è giusto che sia, ma tutti eguali!
Accade così che si getta via il bambino (le ragioni politiche ideali della diversità) insieme all’acqua sporca (la presunzione) e si offrono nuovi varchi alla deriva populista. Accade, ancora, che si è diventati incapaci di capire quali sono gli interessi materiali concreti colpiti, la loro reazione,la necessità di fronteggiarla - e con quali strumenti.
Anche qui con un rovesciamento culturale che ha dell’incredibile: dall’antica fissa giacobina del “complotto reazionario” che si vedeva sempre dietro l’angolo, si è passati alla cancellazione totale di ogni analisi delle forze in campo.
Come se la politica fosse di colpo diventata neutrale. Ma che in Puglia gli interessi colpiti si stiano mobilitando per mettere fine alla anomalia che Nichi Vendola rappresenta, e per riportare la regione all’ordinaria condizione del quadro italiano, a me pare evidente. Palmare.
Dunque, lo ripetiamo: la giustizia faccia il suo corso. Ma contemporaneamente la politica faccia la sua parte. Prenda parte.
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