Dobbiamo imparare a reagire. La botta è stata dura, per tutti. Nessuno, anche nelle più pessimistiche previsioni, poteve immaginare che dopo il 14 aprile nessun parlamentare de La Sinistra L’Arcobaleno sarebbe stato eletto.
I ragionamenti politici e le analisi sono già iniziate e proseguiranno a lungo.
L’unica cosa che - però - non è utile a nessuno è prendere decisioni affrettate e lanciare accuse perentorie che possono tracciare segni indelebili.
Perchè c’è ancora da fare.
Adesso.
Perchè le amministrative sono ancora in corso, ci sono alcuni ballottaggi che vedono in pista diverse nostre liste e dobbiamo tutti impegnarci a battere la destra, almeno in queste amministrazioni.
Una cosa è sicura. Abbiamo affrontato una campagna elettorale in salita e controcorrente. La corrente era quella del voto utile e della sinistra inutile. Invece noi, controcorrente, sapevamo che milioni di persone di sinistra, ambientaliste, pacifiste avevano bisogno di essere rappresentate in Parlamento. Non ci siamo riusciti.
E vorremmo cominciare a ragionare - insieme - sui motivi che hanno causato questa sconfitta.
Per questo il sito riparte. E rimane a disposizione di coloro che vogliono mobilitarsi per i ballottaggi e di chi vuole partecipare al dibattito sul futuro, ma anche sul passato e sul presente.
Una occasione potrà essere l’assemblea di Firenze del 19 aprile, promossa dai comitati x una Sinistra Plurale che fanno riferimento a Paul Ginsborg. Una iniziativa lanciata prima dei risultati elettorali e per questo ancora più opportuna.
Altre occasioni ci saranno e potranno essere segnalate sul sito. Così come tutte le iniziative elettorali per i ballottaggi.
Noi metteremo a disposizione questo portale e tutti gli strumenti web - a cominciare da un forum - e di comunicazione che possano permettere la diffusione delle notizie e la possibilità di una dialettica.
Una dialettica critica ma civile. Per intenderci non accetteremo - come è già successo da altre parti - che il dibattito venga infestato da troll e provocatori.
C’è da fare e c’è bisogno di tutti.
venerdì 18 aprile 2008
CHE FARE?
[da www.sinistrarcobaleno.it - Gianfranco Mascia]
mercoledì 16 aprile 2008
Dove sono andati i voti della Sinistra???
A qualche manciata di giorni dal deludente risultato ottenuto dalla Sinistra-Arcobaleno, che dalle scorse elezioni politiche (sommando Verdi PdCI, PRC) ha perso 9 punti percentuali, è necessario capire cosa è successo, partendo dall'andamento dei flussi di voti.
Renato Mannheimer, a "Porta a Porta" di Bruno Vespa, ha snocciolato dati utili a capire cosa è successo.
Circa il 50% di chi nel 2006 ha votato Verdi, PdCI e PRC (difficile valutare l'apporto di Sinistra Democratica), il 13 e 14 aprile scorso ha votato PD, un 18% si è astenuto ed il restante 7% ha votato per altre formazioni politiche, in breve solo 1 su 4 del popolo della Sinistra italiana ha votato "la Sinistra-l'Arcobaleno".
Da ciò sembra possibile azzardare almeno tre conclusioni:
- il PD (lo confermano i dati dello stesso Mannheimer) non sfonda sul centro politico italiano, ma conserva i voti dell'Ulivo (Margherita+DS) e prende voti dalla sinistra perché è ritenuto più utile votare PD contro la PdL;
- una fetta importante dei compagni non ha valutato credibile la Sinistra-Arcobaleno ed ha atteso di capire che cosa sarebbe successo e pertanto si è astenuto;
- una fetta minore ha deciso di votare altro per diversi motivi.
Se ciò potrebbe essere vero, le soluzioni alla sconfitta sono:
- riunirsi con il PD per provare a recuperare il 50% del voto di sinistra, ma lo stesso PD non sembra interessato a recuperare la sinistra italiana come entità politica importante per il Paese;
- sciogliere SA e riprendere le fila dei singoli partiti, ma in questo caso si punterebbe ad un recupero, partito per partito, del solo 18% dei consensi degli astenuti, poiché il 50% che ha votato PD, in tal caso, è poco probabile che ritorni a votare i singoli partiti, ormai divenuti "non utili" in un sistema politico bipolare e di stampo americano;
- costruire una alternativa di Sinistra (radicale, radicata, plurale ed ambientalista) al voto PD e che riaccenda gli animi degli astenuti.
Per il team di sinistralavello è l'ultima ipotesi quella più interessante politicamente, ma anche la più difficile, poiché richiede l'impegno di tutti a costruire le alternative concrete e fattibili al mondo globalizzato, di un sistema sociale ed economico incerto ed insicuro... Una cosa sembra ovvia, non si può tornare indietro dalla Sinistra-Arcobaleno senza rischiare la definitiva scomparsa politica della Sinistra di questo Paese; è quindi necessario trovare la quadra, che inizia da un nome , Nichi Vendola...
Renato Mannheimer, a "Porta a Porta" di Bruno Vespa, ha snocciolato dati utili a capire cosa è successo.
Circa il 50% di chi nel 2006 ha votato Verdi, PdCI e PRC (difficile valutare l'apporto di Sinistra Democratica), il 13 e 14 aprile scorso ha votato PD, un 18% si è astenuto ed il restante 7% ha votato per altre formazioni politiche, in breve solo 1 su 4 del popolo della Sinistra italiana ha votato "la Sinistra-l'Arcobaleno".
Da ciò sembra possibile azzardare almeno tre conclusioni:
- il PD (lo confermano i dati dello stesso Mannheimer) non sfonda sul centro politico italiano, ma conserva i voti dell'Ulivo (Margherita+DS) e prende voti dalla sinistra perché è ritenuto più utile votare PD contro la PdL;
- una fetta importante dei compagni non ha valutato credibile la Sinistra-Arcobaleno ed ha atteso di capire che cosa sarebbe successo e pertanto si è astenuto;
- una fetta minore ha deciso di votare altro per diversi motivi.
Se ciò potrebbe essere vero, le soluzioni alla sconfitta sono:
- riunirsi con il PD per provare a recuperare il 50% del voto di sinistra, ma lo stesso PD non sembra interessato a recuperare la sinistra italiana come entità politica importante per il Paese;
- sciogliere SA e riprendere le fila dei singoli partiti, ma in questo caso si punterebbe ad un recupero, partito per partito, del solo 18% dei consensi degli astenuti, poiché il 50% che ha votato PD, in tal caso, è poco probabile che ritorni a votare i singoli partiti, ormai divenuti "non utili" in un sistema politico bipolare e di stampo americano;
- costruire una alternativa di Sinistra (radicale, radicata, plurale ed ambientalista) al voto PD e che riaccenda gli animi degli astenuti.
Per il team di sinistralavello è l'ultima ipotesi quella più interessante politicamente, ma anche la più difficile, poiché richiede l'impegno di tutti a costruire le alternative concrete e fattibili al mondo globalizzato, di un sistema sociale ed economico incerto ed insicuro... Una cosa sembra ovvia, non si può tornare indietro dalla Sinistra-Arcobaleno senza rischiare la definitiva scomparsa politica della Sinistra di questo Paese; è quindi necessario trovare la quadra, che inizia da un nome , Nichi Vendola...
lunedì 14 aprile 2008
Nichi Vendola: "Il Novecento ci è precipitato addosso"
Sono passati 60 anni da quando un comunista, Umberto Terracini, firmava la Carta costituzionale della neonata repubblica. Sei decenni dopo, e per la prima volta da quando il fascismo li aveva messi fuorilegge, nel Parlamento italiano non siederanno né comunisti, né socialisti. Il poco più del 3% preso alla Camera dalla Sinistra e l'Arcobaleno e lo 0,9% raccattato dagli eredi di Pietro Nenni e Bettino Craxi non lasciano possibilità. A Montecitorio e Palazzo Madama nessuna targhetta adornerà le stanze dei gruppi parlamentari con i simboli del lavoro che hanno percorso tutto il '900.
Nichi Vendola che sarà probabilmente chiamato a ricostruire dopo il terremoto e che è anche il leader più immaginifico che si agita nella sinistra, ormai, extraparlamentare, lo ha detto subito, a caldo: "Il Novecento ci è precipitato addosso".
In Basilicata il dato è in linea con quello nazionale, così come quello della nostra cittadina, "la Sinistra-l'Arcobaleno" ha ottenuto un 3,5%...
Ora tocca ricominciare da 0... buon lavoro compagni!
Nichi Vendola che sarà probabilmente chiamato a ricostruire dopo il terremoto e che è anche il leader più immaginifico che si agita nella sinistra, ormai, extraparlamentare, lo ha detto subito, a caldo: "Il Novecento ci è precipitato addosso".
In Basilicata il dato è in linea con quello nazionale, così come quello della nostra cittadina, "la Sinistra-l'Arcobaleno" ha ottenuto un 3,5%...
Ora tocca ricominciare da 0... buon lavoro compagni!
giovedì 10 aprile 2008
Bertinotti con Ginsborg: Sinistra, dal 15 si faccia il soggetto unico...
Lunedì sera fiorentino al Teatro Puccini, con il candidato premier dell'Arcobaleno e il professore britannico davanti a mille persone [di Anubi D'Avossa Lussurgiu - 9 Aprile]
«Un nuovo inizio». «Un soggetto unico della sinistra». «Un arcipelago e non una piramide come il Pd». «Un edificio fondato non sul leader ma sulla partecipazione, non romanocentrico ma centrato sull'autonomia dei territori, non burocratico ma con una direzione democratica, collegiale e di nuova generazione». «Il soggetto politico di ogni lotta di liberazione». Fa un po' impressione sentire Fausto Bertinotti scandire queste parole come ha fatto lunedì nella lunga serata pubblica con Paul Ginsborg a Firenze, al Teatro Puccini. Vestigia del ventennio fascista e al tempo stesso delle antiche lotte operaie, costruita dal regime proprio come dopo-lavoro accanto alla Manifattura Tabacchi fiorentina, con il bassorilievo delle "Madri operaie" che campeggia sulla facciata. Dà una certa sensazione ascoltare qui l'apologia della Liberazione storica, che Bertinotti grida alla fine raccogliendo il guanto di sfida di Fini che vuole «liberarsi della sinistra» - e non è certo il solo a pensarlo «obiettivo principale» da portare nelle urne. E ne dà una ancor più indefinibile sentire indicare più volte la liberazione da rideclinare oggi e per il futuro, come orizzonte dell'impegno della sinistra e come «questione dell'umanità», nella temperie della campagna elettorale che lo schermo dei media rappresenta come la più piatta e di più basso profilo della storia repubblicana.
In questo modo vanno le cose, comunque. Vanno che a scandire l'ultima settimana di sforzo pre-elettorale del candidato premier de "la Sinistra l'Arcobaleno" c'è una serata così, straniante e insieme autentica: mille persone stipate in un vecchio teatro che di posti a sedere ne fa 635, dalla platea alla galleria, mille facce di fabbrica e d'ufficio, d'atelier d'arte e d'aula universitaria, di liceo e di pensione d'anzianità, di vecchia base Pci e di Forum sociale, di sindacato e di rete precaria, di "girotondi" e di "collettivi", che stanno lì ad ascoltare dall'inizio alla fine quei tre sul palco. Bertinotti e quel professore britannico fiorentinizzato e dalla voce tanto gentile quanto la logica del suo discorso è rigorosa; e quella ragazza che li "modera", Elisabetta Piccolotti, umbra che col fiorentino Federico Tomasello coordina le giovani comuniste e i giovani comunisti di Rifondazione. Un palco che non sollecita tanto l'attenzione al voto, a cinque giorni dal voto; ma dal quale si dipana un dialogo su ciò che è a venire. Nella sinistra. Con un tema dominante: la costruzione del soggetto. Con una determinazione evidente: il soggetto unico. Con un'ansia che si sente: farlo nuovo non per vuoto "nuovismo" e per "sindrome di rimozione" della storia, ma anzi per saldare finalmente i conti in sospeso con essa, con l'esperienza dei suoi punti più alti, appunto «di liberazione», come con quella dei suoi limiti quanto a democrazia e «valorizzazione della persona». E per riannodare i fili delle esperienze più mature degli ultimi anni, nel cuore della contemporaneità e alla sua altezza: in testa i movimenti dell'altermondialismo (Bertinotti) o nuovomondismo (Ginsborg).
Certo: i limiti ci sono, si vedono, chiunque se ne può accorgere. E' un dito, critico e autocritico, che Ginsborg punta subito, appena presa la parola nel primo giro, prima ancora di rispondere alla domanda di Betta su come affrontare «l'americanizzazione» spinta dal veltronismo, anzi su «se è vero che siamo anche noi negli Usa e cosa significa per la sinistra». Il professore, col suo sorriso spiazzante e il suo accento che fa simpatia, fa una considerazione in premessa guardando alla platea resa invisibile dai riflettori puntati: «Mi sento strano, voi mi vedete mentre io non vedo voi». Metafora dello stato attuale dell'azione dirigente nella sinistra: meglio, metafora di quei limiti duraturi d'una intera storia con la quale fare i conti.
Subito si apre una dialettica produttiva. Per un verso l'invito ginsborghiano ad andare davvero «oltre il Novecento», ad un «pensare nuovo» inteso come «pensare alto», intanto assumendo che da noi come negli Usa, in America Latina come in India qualcosa ha detto definitivamente che «siamo nel mondo» ed è stato il movimento contro il neoliberismo da Seattl in poi; e il riferimento, fra «molte colpe», a quella «virtù del Pci» che era «il legame tra quotidiano e progetto di futuro», che oggi «vive» nelle «pratiche minute» degli «stili di vita alternativi», a partire dalla critica dei consumi. Per altro verso l'adesione bertinottiana all'«invito», con «un'aggiunta»: che è, «per guadagnare l'innovazione», anzi «un nuovo inizio», il «balzo di tigre nel passato» à la Benjamin, specificamente nelle «lezioni alternative» dischiuse dalla storia del movimento operaio. Dal fatto che sin dall'inizio «non era destino» l'egemonia del «modello tedesco» fatto di «forza di combattimento» strutturata verticalmente e articolata in partito, sindacato e cooperazione; mentre c'era un'altra esperienza, quella francese, «segnata dalle tendenze anarchiche» e più territoriale, orizzontale, autogestionaria. Fino alle «correnti eretiche» che misero a critica «la presunzione dell'avanguardia», come il consiliarismo d'un Karl Korsch. Dallo stesso «stato nascente» dei Soviet e della Rivoluzione d'Ottobre, prima della piega in «processo autoritario». Fino all'esperienza-chiave per la medesima biografia politica di Bertinotti: il «sindacato dei consigli», la spinta conflittuale d'una nuova composizione di classe e l'impetuosa sperimentazione di forme democratiche consiliari nel cuore della produzione, proiettate a sovvertire la divisione del lavoro nonché la pretesa di "neutralità" di scienza e tecnica.
Insomma: «Senza il deposito di quelle rivolte e rivoluzioni, non siamo nessuno». Ma al tempo stesso, certo: «Non si è figli di questa storia semplicemente perché si alza una falce e martello». Serve, invece, «riaprire un cammino di liberazione». Fare di quelle esperienze un'ispirazione mentre si procede «sperimentando» in avanti, nel presente storico. Anche, per esempio e appunto ereticamente, «fare una campagna elettorale costruendo i fondamenti del nuovo soggetto della sinistra». Cui occorrono «emozioni» e «fraternità». Perché, in fondo, il refrain di chi questa campagna vuole «dominare» è univoco: additare come orizzonte unico una solitaria «passività». E' lo sfondo di senso d'una battuta "pesante" come quella di Berlusconi alla precaria, cui consigliava di sposare suo figlio. E qui sta «la forza» del berlusconismo: precisamente nell'essere metafora attiva dell'egemonia capitalista.
Per Bertinotti è un passaggio, anche, per parlare di quelli che ha incontrato prima di entrare in sala: le lavoratrici e i lavoratori dell'Electrolux in lotta contro la minaccia di delocalizzazione. Per raccontare l'impotenza dell'ascolto che solo può prestare una sinistra priva ad oggi della «forza» necessaria a fornire «potere» alle lotte. Soccorre un aneddoto, «chissà se vero», proprio su Electrolux al tempo della vecchia Pignone e del sindaco La Pira: che avrebbe convinto Enrico Mattei ad evitarne con la sua Eni la chiusura solo con un'argomento, disperato, da democristiano a democristiano. Questo: «Enrico, stanotte ho sognato la Madonna e m'ha detto "Mattei salverà la Pignone"». Senza perciò doverci credere, è la morale, per battere il comando assoluto del profitto «bisogna sognare la Madonna», cioè trascenderne le «compatibilità». Al che occorre, in ultima analisi, la politica. Una sinistra, insomma.
D'altra parte, ci sono le ragioni incalzanti recate da Ginsborg. Che forma e sostanza di questo compito di ricostruzione politica chiede di prederle di petto, «senza lasciar fuori nessuno e nessuna storia». Di avere «meno retorica e più principi». Di non invitare, come si è fatto negli "stati generali" mesi fa, a «travolgere» gli apparati partitici - detto dal loro vertice - per poi «presentare ad esempio queste liste alle elezioni»... E ci sono quei tre punti del "decalogo" dell'associazione toscana "per la sinistra unita e plurale", che il professore sottopone, anche personalmente, a Bertinotti: «per nuove forme di democrazia che combinino democrazia rappresentativa e partecipativa»; «contro i rapporti verticali e gerarchici» e «per i rapporti orizzontali di solidarietà e l'assoluta trasparenza nei processi decisionali»; e «contro un'idea della politica che mette l'enfasi sulla leadership carismatica e su personaggi autocratici».
La sorpresa è che Bertinotti, stavolta, non solo aderisce ma rilancia. Intanto parlando chiaramente di sé ed esplicitando che la decisione d'essere «dal 15 un semplice compagno di strada» significa una volontà di «spezzare la delega» e aprire la strada ad un «processo costituente» che componga «democraticamente» un «gruppo dirigente collegiale e di nuova generazione» - anzi, «con un salto generazionale radicale». E poi dicendo tutte quelle cose riferite al principio, che fanno quella strana impressione. Tale che danno il senso d'un appuntamento ormai fissato, per il 15. Non per una sovradeterminazione: per un invito. Ma evidentemente non è un bigliettino concepito per certe occasioni, come un palco condiviso col professor Ginsborg: visto che Bertinotti le stesse parole, una per una, le ha ripetute ieri. A la Stampa , a Matrix e al Testaccio di Roma. Vedremo allora, all'appuntamento, quante e quanti si presenteranno.
«Un nuovo inizio». «Un soggetto unico della sinistra». «Un arcipelago e non una piramide come il Pd». «Un edificio fondato non sul leader ma sulla partecipazione, non romanocentrico ma centrato sull'autonomia dei territori, non burocratico ma con una direzione democratica, collegiale e di nuova generazione». «Il soggetto politico di ogni lotta di liberazione». Fa un po' impressione sentire Fausto Bertinotti scandire queste parole come ha fatto lunedì nella lunga serata pubblica con Paul Ginsborg a Firenze, al Teatro Puccini. Vestigia del ventennio fascista e al tempo stesso delle antiche lotte operaie, costruita dal regime proprio come dopo-lavoro accanto alla Manifattura Tabacchi fiorentina, con il bassorilievo delle "Madri operaie" che campeggia sulla facciata. Dà una certa sensazione ascoltare qui l'apologia della Liberazione storica, che Bertinotti grida alla fine raccogliendo il guanto di sfida di Fini che vuole «liberarsi della sinistra» - e non è certo il solo a pensarlo «obiettivo principale» da portare nelle urne. E ne dà una ancor più indefinibile sentire indicare più volte la liberazione da rideclinare oggi e per il futuro, come orizzonte dell'impegno della sinistra e come «questione dell'umanità», nella temperie della campagna elettorale che lo schermo dei media rappresenta come la più piatta e di più basso profilo della storia repubblicana.
In questo modo vanno le cose, comunque. Vanno che a scandire l'ultima settimana di sforzo pre-elettorale del candidato premier de "la Sinistra l'Arcobaleno" c'è una serata così, straniante e insieme autentica: mille persone stipate in un vecchio teatro che di posti a sedere ne fa 635, dalla platea alla galleria, mille facce di fabbrica e d'ufficio, d'atelier d'arte e d'aula universitaria, di liceo e di pensione d'anzianità, di vecchia base Pci e di Forum sociale, di sindacato e di rete precaria, di "girotondi" e di "collettivi", che stanno lì ad ascoltare dall'inizio alla fine quei tre sul palco. Bertinotti e quel professore britannico fiorentinizzato e dalla voce tanto gentile quanto la logica del suo discorso è rigorosa; e quella ragazza che li "modera", Elisabetta Piccolotti, umbra che col fiorentino Federico Tomasello coordina le giovani comuniste e i giovani comunisti di Rifondazione. Un palco che non sollecita tanto l'attenzione al voto, a cinque giorni dal voto; ma dal quale si dipana un dialogo su ciò che è a venire. Nella sinistra. Con un tema dominante: la costruzione del soggetto. Con una determinazione evidente: il soggetto unico. Con un'ansia che si sente: farlo nuovo non per vuoto "nuovismo" e per "sindrome di rimozione" della storia, ma anzi per saldare finalmente i conti in sospeso con essa, con l'esperienza dei suoi punti più alti, appunto «di liberazione», come con quella dei suoi limiti quanto a democrazia e «valorizzazione della persona». E per riannodare i fili delle esperienze più mature degli ultimi anni, nel cuore della contemporaneità e alla sua altezza: in testa i movimenti dell'altermondialismo (Bertinotti) o nuovomondismo (Ginsborg).
Certo: i limiti ci sono, si vedono, chiunque se ne può accorgere. E' un dito, critico e autocritico, che Ginsborg punta subito, appena presa la parola nel primo giro, prima ancora di rispondere alla domanda di Betta su come affrontare «l'americanizzazione» spinta dal veltronismo, anzi su «se è vero che siamo anche noi negli Usa e cosa significa per la sinistra». Il professore, col suo sorriso spiazzante e il suo accento che fa simpatia, fa una considerazione in premessa guardando alla platea resa invisibile dai riflettori puntati: «Mi sento strano, voi mi vedete mentre io non vedo voi». Metafora dello stato attuale dell'azione dirigente nella sinistra: meglio, metafora di quei limiti duraturi d'una intera storia con la quale fare i conti.
Subito si apre una dialettica produttiva. Per un verso l'invito ginsborghiano ad andare davvero «oltre il Novecento», ad un «pensare nuovo» inteso come «pensare alto», intanto assumendo che da noi come negli Usa, in America Latina come in India qualcosa ha detto definitivamente che «siamo nel mondo» ed è stato il movimento contro il neoliberismo da Seattl in poi; e il riferimento, fra «molte colpe», a quella «virtù del Pci» che era «il legame tra quotidiano e progetto di futuro», che oggi «vive» nelle «pratiche minute» degli «stili di vita alternativi», a partire dalla critica dei consumi. Per altro verso l'adesione bertinottiana all'«invito», con «un'aggiunta»: che è, «per guadagnare l'innovazione», anzi «un nuovo inizio», il «balzo di tigre nel passato» à la Benjamin, specificamente nelle «lezioni alternative» dischiuse dalla storia del movimento operaio. Dal fatto che sin dall'inizio «non era destino» l'egemonia del «modello tedesco» fatto di «forza di combattimento» strutturata verticalmente e articolata in partito, sindacato e cooperazione; mentre c'era un'altra esperienza, quella francese, «segnata dalle tendenze anarchiche» e più territoriale, orizzontale, autogestionaria. Fino alle «correnti eretiche» che misero a critica «la presunzione dell'avanguardia», come il consiliarismo d'un Karl Korsch. Dallo stesso «stato nascente» dei Soviet e della Rivoluzione d'Ottobre, prima della piega in «processo autoritario». Fino all'esperienza-chiave per la medesima biografia politica di Bertinotti: il «sindacato dei consigli», la spinta conflittuale d'una nuova composizione di classe e l'impetuosa sperimentazione di forme democratiche consiliari nel cuore della produzione, proiettate a sovvertire la divisione del lavoro nonché la pretesa di "neutralità" di scienza e tecnica.
Insomma: «Senza il deposito di quelle rivolte e rivoluzioni, non siamo nessuno». Ma al tempo stesso, certo: «Non si è figli di questa storia semplicemente perché si alza una falce e martello». Serve, invece, «riaprire un cammino di liberazione». Fare di quelle esperienze un'ispirazione mentre si procede «sperimentando» in avanti, nel presente storico. Anche, per esempio e appunto ereticamente, «fare una campagna elettorale costruendo i fondamenti del nuovo soggetto della sinistra». Cui occorrono «emozioni» e «fraternità». Perché, in fondo, il refrain di chi questa campagna vuole «dominare» è univoco: additare come orizzonte unico una solitaria «passività». E' lo sfondo di senso d'una battuta "pesante" come quella di Berlusconi alla precaria, cui consigliava di sposare suo figlio. E qui sta «la forza» del berlusconismo: precisamente nell'essere metafora attiva dell'egemonia capitalista.
Per Bertinotti è un passaggio, anche, per parlare di quelli che ha incontrato prima di entrare in sala: le lavoratrici e i lavoratori dell'Electrolux in lotta contro la minaccia di delocalizzazione. Per raccontare l'impotenza dell'ascolto che solo può prestare una sinistra priva ad oggi della «forza» necessaria a fornire «potere» alle lotte. Soccorre un aneddoto, «chissà se vero», proprio su Electrolux al tempo della vecchia Pignone e del sindaco La Pira: che avrebbe convinto Enrico Mattei ad evitarne con la sua Eni la chiusura solo con un'argomento, disperato, da democristiano a democristiano. Questo: «Enrico, stanotte ho sognato la Madonna e m'ha detto "Mattei salverà la Pignone"». Senza perciò doverci credere, è la morale, per battere il comando assoluto del profitto «bisogna sognare la Madonna», cioè trascenderne le «compatibilità». Al che occorre, in ultima analisi, la politica. Una sinistra, insomma.
D'altra parte, ci sono le ragioni incalzanti recate da Ginsborg. Che forma e sostanza di questo compito di ricostruzione politica chiede di prederle di petto, «senza lasciar fuori nessuno e nessuna storia». Di avere «meno retorica e più principi». Di non invitare, come si è fatto negli "stati generali" mesi fa, a «travolgere» gli apparati partitici - detto dal loro vertice - per poi «presentare ad esempio queste liste alle elezioni»... E ci sono quei tre punti del "decalogo" dell'associazione toscana "per la sinistra unita e plurale", che il professore sottopone, anche personalmente, a Bertinotti: «per nuove forme di democrazia che combinino democrazia rappresentativa e partecipativa»; «contro i rapporti verticali e gerarchici» e «per i rapporti orizzontali di solidarietà e l'assoluta trasparenza nei processi decisionali»; e «contro un'idea della politica che mette l'enfasi sulla leadership carismatica e su personaggi autocratici».
La sorpresa è che Bertinotti, stavolta, non solo aderisce ma rilancia. Intanto parlando chiaramente di sé ed esplicitando che la decisione d'essere «dal 15 un semplice compagno di strada» significa una volontà di «spezzare la delega» e aprire la strada ad un «processo costituente» che componga «democraticamente» un «gruppo dirigente collegiale e di nuova generazione» - anzi, «con un salto generazionale radicale». E poi dicendo tutte quelle cose riferite al principio, che fanno quella strana impressione. Tale che danno il senso d'un appuntamento ormai fissato, per il 15. Non per una sovradeterminazione: per un invito. Ma evidentemente non è un bigliettino concepito per certe occasioni, come un palco condiviso col professor Ginsborg: visto che Bertinotti le stesse parole, una per una, le ha ripetute ieri. A la Stampa , a Matrix e al Testaccio di Roma. Vedremo allora, all'appuntamento, quante e quanti si presenteranno.
martedì 8 aprile 2008
Io sono qui! Tu dove sei?
lunedì 7 aprile 2008
Contro la precarietà, perché un mondo migliore è possibile...
[da: www.sinistrarcobaleno.it] Lo ripetiamo ormai da così tanto tempo che ci sembra quasi banale continuare a farlo: siamo contro la precarietà. Suona banale anche perché apparentemente anche le altre forze politiche (specialmente in campagna elettorale) si dicono contro la precarietà.
Noi siamo contro alla precarietà sia come incertezza contrattuale, sia come precarietà di vita, come deprivazione del futuro. Per questo dedichiamo a “Diritti del lavoro e lotta alla precarietà” la nostra quarta e ultima giornata tematica. La precarietà è lo strumento attraverso il quale si è riusciti ad annullare le conquiste della sinistra italiana, pur senza cancellarle direttamente: lo Statuto dei lavoratori, massima architettura legislativa in difesa dei diritti di chi lavora, è ancora in piedi eppure oggi i padroni, attraverso leggi liberiste, possono aggirarlo.Ma non è solo questo. La precarietà è iniziata come un problema contrattuale (il pacchetto Treu che ha introdotto figure come il cococo, e poi la legge 30 del governo Berlusconi, che ha trasformato i contratti di lavoro in merce da supermarket), ma oggi investe in pieno da un lato l’intero sistema produttivo (ivi compresi i dipendenti con contratto a tempo indeterminato) e dall’altro le vite stesse dei lavoratori.
Il sistema produttivo italiano infatti, travolto dalla globalizzazione neoliberista, ha messo in mostra tutte le sue anomalie, dall’assetto “familiare” del capitale all’incapacità di una classe politica di dare risposte convincenti, fino ad arrivare alla situazione attuale. Persino oggi in cui è evidente che il sistema neoliberista sta entrando in forte crisi (vedi negli Usa la situazione drammatica dei mutui e delle banche), la classe politica italiana (questa volta sì in maniera bipartisan) sembra non avere ricette alternative e allinearsi con le posizioni più di destra. Forse ancora troppo piena dell’idea del “dio-mercato” (il mercato come il migliore strumento possibile per dividere le risorse tra la gente) ancora oggi ripropone le stesse ricette: liberalizzazioni, riduzione delle tasse, privatizzazioni, abbassamento del costo del lavoro.
STOP PRECARIETÀ!
Noi siamo contro alla precarietà sia come incertezza contrattuale, sia come precarietà di vita, come deprivazione del futuro. Per questo dedichiamo a “Diritti del lavoro e lotta alla precarietà” la nostra quarta e ultima giornata tematica. La precarietà è lo strumento attraverso il quale si è riusciti ad annullare le conquiste della sinistra italiana, pur senza cancellarle direttamente: lo Statuto dei lavoratori, massima architettura legislativa in difesa dei diritti di chi lavora, è ancora in piedi eppure oggi i padroni, attraverso leggi liberiste, possono aggirarlo.Ma non è solo questo. La precarietà è iniziata come un problema contrattuale (il pacchetto Treu che ha introdotto figure come il cococo, e poi la legge 30 del governo Berlusconi, che ha trasformato i contratti di lavoro in merce da supermarket), ma oggi investe in pieno da un lato l’intero sistema produttivo (ivi compresi i dipendenti con contratto a tempo indeterminato) e dall’altro le vite stesse dei lavoratori.
Il sistema produttivo italiano infatti, travolto dalla globalizzazione neoliberista, ha messo in mostra tutte le sue anomalie, dall’assetto “familiare” del capitale all’incapacità di una classe politica di dare risposte convincenti, fino ad arrivare alla situazione attuale. Persino oggi in cui è evidente che il sistema neoliberista sta entrando in forte crisi (vedi negli Usa la situazione drammatica dei mutui e delle banche), la classe politica italiana (questa volta sì in maniera bipartisan) sembra non avere ricette alternative e allinearsi con le posizioni più di destra. Forse ancora troppo piena dell’idea del “dio-mercato” (il mercato come il migliore strumento possibile per dividere le risorse tra la gente) ancora oggi ripropone le stesse ricette: liberalizzazioni, riduzione delle tasse, privatizzazioni, abbassamento del costo del lavoro.
STOP PRECARIETÀ!
venerdì 4 aprile 2008
Nichi Vendola a Lavello!!!
Domenica 6 aprile 2008, il Presidente della Puglia, il compagno Nichi Vendola, sarà a Lavello per un comizio elettorale che si terrà alle ore 21.00 presso P.zza Sacro Cuore.
Partecipate numerosi.
Il team di "sinistralavello"
Alcuni video di Vendola du YouTube...
Qui tutti i 7 video dell'intervento di Nichi Vendola
mercoledì 2 aprile 2008
Appello al Voto!!!
28/03/2008, da www.sinistrarcobaleno.it - Noi sosteniamo le liste de “La Sinistra, l’Arcobaleno”, e il candidato-premier Fausto Bertinotti, per quattro buone ragioni.
1. Perché è un voto utile alla democrazia italiana e alla rinascita della politica. La contesa elettorale non può ridursi a una partita a due, o a un referendum tra leadership spettacolari. E il futuro del paese non può essere affidato al “modello americano” , che per definizione e vocazione storica cancella la sinistra dalla rappresentanza istituzionale. Per battere la destra, la sinistra resta essenziale. Per vincere la sfida della pace che muove milioni di persone, ci vuole una sinistra forte. Per superare la crisi di fiducia, e i pericoli di declino morale dell’Italia, le idee e la forza della sinistra restano imprescindibili.
2. Perché è un voto di parte. Dalla parte dei lavoratori e dei diritti del lavoro, operaio, precario, intellettuale, sfruttato, sottopagato, umiliato. Dalla parte delle donne, dei giovani e dei nuovi cittadini e cittadine migranti in cerca di libertà. Dalla parte del rispetto per l’ambiente, minacciato da un’idea di sviluppo cieca e squilibrata. Dalla parte del valore non mercificabile del sapere e della conoscenza. Fuori da questa parzialità, che rivendichiamo come una risorsa preziosa, non c’è vera possibilità di cambiamento. E tutto si “concilia”, si omologa, si appiattisce, in un clima di conformismo dilagante.
3. Perché è un voto laico. Per fermare l’invadenza interventista delle alte gerarchie vaticane e le tentazioni neo-temporaliste della Chiesa cattolica. Per arginare le insorgenze fondamentaliste, che attaccano leggi come la 194, bloccano l’allargamento dei diritti civili, diffondono omofobia, tentano di ricondurre le donne ad un ruolo antico di soggezione. Noi non vogliamo nè “guerre di religione” nè antistorici steccati tra credenti e non credenti. Crediamo piuttosto che la laicità dello Stato e il primato del Parlamento siano il fondamento più solido della libertà di tutti.
4. Perché è un voto di speranza: per una sinistra capace di rigenerare se stessa, il suo modo di essere e di agire, i suoi progetti. Un obiettivo difficile, ma assolutamente necessario, che può cominciare un percorso positivo nel fuoco di queste elezioni, il 13 e 14 aprile. Noi, a questa speranza non possiamo rinunciare.
Scarica da qui il documento "100 azioni per cambiare l'Italia!" de La Sinistra-l'Arcobaleno
1. Perché è un voto utile alla democrazia italiana e alla rinascita della politica. La contesa elettorale non può ridursi a una partita a due, o a un referendum tra leadership spettacolari. E il futuro del paese non può essere affidato al “modello americano” , che per definizione e vocazione storica cancella la sinistra dalla rappresentanza istituzionale. Per battere la destra, la sinistra resta essenziale. Per vincere la sfida della pace che muove milioni di persone, ci vuole una sinistra forte. Per superare la crisi di fiducia, e i pericoli di declino morale dell’Italia, le idee e la forza della sinistra restano imprescindibili.
2. Perché è un voto di parte. Dalla parte dei lavoratori e dei diritti del lavoro, operaio, precario, intellettuale, sfruttato, sottopagato, umiliato. Dalla parte delle donne, dei giovani e dei nuovi cittadini e cittadine migranti in cerca di libertà. Dalla parte del rispetto per l’ambiente, minacciato da un’idea di sviluppo cieca e squilibrata. Dalla parte del valore non mercificabile del sapere e della conoscenza. Fuori da questa parzialità, che rivendichiamo come una risorsa preziosa, non c’è vera possibilità di cambiamento. E tutto si “concilia”, si omologa, si appiattisce, in un clima di conformismo dilagante.
3. Perché è un voto laico. Per fermare l’invadenza interventista delle alte gerarchie vaticane e le tentazioni neo-temporaliste della Chiesa cattolica. Per arginare le insorgenze fondamentaliste, che attaccano leggi come la 194, bloccano l’allargamento dei diritti civili, diffondono omofobia, tentano di ricondurre le donne ad un ruolo antico di soggezione. Noi non vogliamo nè “guerre di religione” nè antistorici steccati tra credenti e non credenti. Crediamo piuttosto che la laicità dello Stato e il primato del Parlamento siano il fondamento più solido della libertà di tutti.
4. Perché è un voto di speranza: per una sinistra capace di rigenerare se stessa, il suo modo di essere e di agire, i suoi progetti. Un obiettivo difficile, ma assolutamente necessario, che può cominciare un percorso positivo nel fuoco di queste elezioni, il 13 e 14 aprile. Noi, a questa speranza non possiamo rinunciare.
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